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Gilgamesh, il cui nome significa “l’uomo anziano è ora un giovane”, è forse il più grande eroe della letteratura dell’antico Vicino Oriente. La sua storia è basata su un leggendario re omonimo che governò la città mesopotamica di Uruk tra il 2700 e il 2600 a.C. Il nome di Gilgamesh appare nella famosa Lista dei re sumeri, risalente alla fine del terzo millennio a.C. I successivi sovrani guardarono a Gilgamesh con grande rispetto, e alcuni lo consideravano persino una divinità personale. Tuttavia, fino ad oggi non sono state trovate iscrizioni che possano essere attribuite direttamente a lui.

L’epopea di Gilgamesh

L’Epica di Gilgamesh è il racconto eroico di questo leggendario re. Si tratta di una raccolta di varie storie preesistenti, alcune delle quali circolavano già durante la dinastia Ur III in Sumer (circa 2100-2000 a.C.). Esistono due versioni principali di quest’epopea: la prima è la versione Babilonese Antica, risalente al secondo millennio a.C., che manca del prologo e della famosa storia del diluvio; la seconda è la versione standard, scoperta a Ninive nella biblioteca reale del re assiro Assurbanipal del VII secolo a.C. La tradizione afferma che l’autore di questa versione fosse un maestro scriba e sacerdote d’incantesimi di nome Sin-leqe-unnini. Questa versione è stata trovata in diverse aree, dalla Palestina e dalla Siria alla Turchia moderna, oltre che in Mesopotamia, ed esistono prove che fosse inclusa negli esercizi scolastici di scrittura.

Le sigilli cilindrici e le statue raffigurano un potente eroe che lotta con animali selvatici, e gli studiosi si riferiscono a questa figura come la “figura di Gilgamesh”, anche se non vi sono prove scritte che colleghino direttamente Gilgamesh all’eroe raffigurato. È possibile che questa figura eroica fosse stata associata a Gilgamesh in qualche momento della storia mesopotamica, o che fosse stata collegata ad altre divinità sumeriche in tempi antichi.

La storia di Gilgamesh: dalla tirannia all’amicizia

All’inizio dell’epopea, Gilgamesh è descritto come un tiranno. Sfrutta i cittadini maschi di Uruk per completare i suoi progetti di costruzione e prende le giovani donne per soddisfare i suoi desideri. Così opprimente è il suo regno che il popolo della città prega gli dèi di intervenire. In risposta, gli dèi creano Enkidu, una creatura metà uomo e metà animale, destinata a sfidare Gilgamesh. Dopo una battaglia tra i due, in cui si scoprono quasi uguali, diventano grandi amici e iniziano insieme le loro avventure eroiche.

Nel loro primo viaggio, uccidono un gigante chiamato Humbaba (o Huwawa), guardiano di una grande foresta di cedri. Al ritorno a Uruk, Gilgamesh viene avvicinato dalla dea Ishtar, che desidera farlo suo amante. Egli rifiuta le sue avances, scatenando la sua furia. Ishtar chiede a suo padre An, il capo degli dèi, di inviare il Toro del Cielo per distruggere i due eroi. Dopo che il Toro del Cielo uccide centinaia di giovani uomini della città, Enkidu lo afferra per la coda e Gilgamesh lo uccide con una spada.

La morte di Enkidu e la ricerca dell’immortalità

Dopo la morte del Toro del Cielo, Enkidu ha un sogno in cui il consiglio degli dèi decide chi tra i due eroi debba morire per l’uccisione di Humbaba e del Toro del Cielo. La scelta ricade su Enkidu, che muore dopo una malattia durata sette giorni. Distrutto dal dolore, Gilgamesh riflette sulla propria mortalità e decide di cercare il segreto della vita eterna.

Gilgamesh apprende che un uomo di nome Utnapishtim è stato reso immortale dagli dèi dopo essere sopravvissuto a un grande diluvio che aveva distrutto l’umanità. Gilgamesh cerca Utnapishtim, il quale gli spiega che non può ottenere l’immortalità nello stesso modo. Tuttavia, gli rivela l’esistenza di una pianta capace di ringiovanire chi la possiede. Gilgamesh trova la pianta, ma mentre si sta bagnando in una piscina dopo il lungo viaggio, un serpente la mangia, il che spiega mitologicamente perché i serpenti cambiano pelle.

La saggezza finale di Gilgamesh

Gilgamesh ritorna a Uruk, triste ma saggio. Si rende conto che l’unico modo per raggiungere una sorta di immortalità è compiere grandi opere che vivranno nei ricordi delle future generazioni. Guardando le possenti mura della città che ha costruito, trova conforto. Se la fama è una misura dell’immortalità, si potrebbe dire che Gilgamesh l’abbia effettivamente raggiunta. Questo concetto è simile alla visione eroica che si trova nelle epiche omeriche e nella mitologia greca.

L’epilogo e la storia del diluvio

Esiste una dodicesima tavoletta dell’epopea che contiene storie che non sembrano allinearsi con il resto del racconto. In essa, Enkidu è ancora vivo, e Gilgamesh lascia cadere due oggetti in un buco che porta al mondo sotterraneo. Enkidu va a recuperarli, ma scopre che non può tornare nel mondo dei vivi. L’Epica di Gilgamesh è famosa anche per la storia del diluvio, che somiglia a quella presente nel libro della Genesi della Bibbia ebraica. Tuttavia, la versione Babilonese Antica non conteneva il racconto del diluvio, suggerendo che non fosse originariamente associato a Gilgamesh. La storia del diluvio esisteva in diverse forme in Mesopotamia, inclusa l’epopea accadica intitolata Atrahasis.

Conclusioni

L’Epica di Gilgamesh rimane una delle opere più antiche e influenti della letteratura mondiale. Il suo tema centrale, la ricerca dell’immortalità e la comprensione della fragilità umana, ha un impatto che si estende ben oltre il suo contesto storico. Gilgamesh, con le sue avventure e la sua trasformazione personale, rappresenta una figura universale che continua a ispirare la riflessione sui limiti dell’esistenza umana e sul desiderio di lasciare un segno duraturo nel mondo.

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