Basilio tentò di rafforzare il proprio controllo nominando il fratello Gregorio vescovo di Nissa e cercò, senza successo, di nominare Gregorio Nazianzeno vescovo di Sasima. Le sue controversie coinvolsero anche il vescovo ariano Eustazio di Sebaste, un tempo suo mentore. Nonostante le difficoltà, Basilio lasciò un’eredità significativa nella lotta contro l’arianesimo, che sarebbe stata portata avanti dai suoi alleati cappadoci.
Dopo la morte di Basilio nel 379 d.C., suo fratello Gregorio di Nissa (circa 331–395 d.C.) proseguì nella lotta contro i neo-ariani. La sua posizione teologica fu determinante nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., dove l’imperatore anti-ariano Teodosio I stabilì che la comunione con Gregorio fosse una condizione essenziale per l’ortodossia. Gregorio viaggiò molto, mediando dispute ecclesiastiche in Arabia e Gerusalemme. I suoi scritti teologici si concentrarono sulle controversie trinitarie, opponendosi alle idee di Eunomio e di Apollinare di Laodicea. Gregorio rifiutò la preesistenza delle anime, contrastando così Origene e il neoplatonismo, ma affermò con forza la piena divinità e umanità di Gesù Cristo. Tra i suoi scritti più noti vi è la Vita di Macrina, una biografia agiografica dedicata alla sorella.
L’influenza di Gregorio si estese molto oltre la sua epoca, influenzando pensatori teologici successivi come Giovanni Damasceno, Gregorio Palamas e Duns Scoto. La sua teologia speculativa e la sua profonda riflessione sulla Trinità e sull’incarnazione lasciarono un’impronta duratura.
Gregorio Nazianzeno (circa 329–390 d.C.) fu un altro esponente di spicco della teologia cappadoce. Vescovo di Costantinopoli dal 379 al 381 d.C., Gregorio partecipò al Concilio di Costantinopoli, ma incontrò l’opposizione di alcuni vescovi alessandrini e macedoni che contestavano la sua nomina. Causa di salute e dissapori interni lo indussero a dimettersi dal suo incarico a Costantinopoli e a ritirarsi nella sua tenuta familiare ad Arianzus, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi alla scrittura.
Le Orazioni di Gregorio, molte delle quali pronunciate in occasione di festività religiose, costituiscono uno dei pilastri del suo contributo teologico. Gregorio rifiutava l’idea degli eunomiani secondo cui il linguaggio fosse un sistema divinamente dato per comprendere l’essenza di Dio. Al contrario, sosteneva che Dio può essere conosciuto solo nella misura in cui si rivela all’umanità, ribadendo così il mistero della divinità. Come gli altri Cappadoci, Gregorio espresse chiaramente la natura unica e trinitaria di Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – e l’importanza dell’incarnazione di Cristo per la salvezza dell’umanità.
Le sue Lettere, raccolte poco prima della sua morte, e le sue riflessioni teologiche hanno continuato a influenzare la dottrina cristiana nei secoli successivi.
I Cappadoci, attraverso i loro scritti e la loro vita di dedizione alla Chiesa, hanno contribuito in modo fondamentale alla definizione dell’ortodossia cristiana, in particolare nella comprensione della Trinità e dell’incarnazione di Cristo. Le loro opere, sebbene radicate nel contesto teologico del IV secolo, continuano a essere studiate e apprezzate nella teologia cristiana moderna.